di Maurizio Liverani
Passato il trambusto elettorale, i vincitori e i vinti cercano collegamenti. Sia gli uni che gli altri si vantano di essere partiti popolari e, infatti, si perora subito un allegro miscuglio per impedire che continui a degradare ancor più questa società degradata dove il tragico si identifica con il comico. La pantomima della contrapposizione frontale può trasformarsi, per eliminare uno scomodo partito di incapaci, in una collaborazione. Il partito scomodo zeppo di incapaci intanto inquina con i suoi veleni l’atmosfera politica. Contro il Pd, il partito uscito vincente dalle consultazioni siciliane ha scagliato tutti gli anatemi che di solito vengono indirizzati ai nemici, ma nello stesso tempo propone una collaborazione. A queste elezioni si è giunti infatti perché questa intesa possa essere più facilmente realizzabile. E’ in corso una gara tra i maggiori esponenti per essere considerati grandi, dal presidente della Camera Grasso a Bersani, al killer, secondo Occhetto, D’Alema a Emiliano, tutti si sentono sfiorati dal respiro della storia e si considerano illustri. C’è da dire subito che questi “padri della patria” non hanno un bello smalto politico. Ciò che più colpisce in loro sono le cilecche; mai che si trovi nella loro carriera quello che si potrebbe chiamare un successo. Più si cerca di farli apparire come “forza di popolo”, più si rafforza l’impressione di trattarsi di esistenze insignificanti, di fragranti nullità. Dalle tracce bavose che si lascia dietro la “lumaca della storia”, riemerge un altro “grande”, quel Walter Veltroni che è andato avanti e indietro come un pistone da più di trent’anni, conservando il piacere soggettivo di ritenersi estremamente in gamba. Mentre il presidente della Camera Grasso, per correre la gara alla presidenza del Consiglio, si propone come un alberello di specie rara. Pier Luigi Bersani, pur di fare lo sgambetto a Matteo Renzi, lo ascrive tra i “grandi” anche se non ha le virtù carismatiche di cui si addobbano quasi tutti i candidati. Chi ha oltrepassati i cinquant’anni è, “ipso facto”, un “padre della patria”. Il rapporto tra vecchiaia e potere non è mai stato tanto di attualità come dopo l’elezione di Sergio Mattarella che ha corso il palio del Quirinale per volontà di Renzi. Da questo presidente della Repubblica si attende una decisione importante: la data delle prossime elezioni. Di Mattarella è difficile alimentare un prestigio mitico; prima che sia considerato uomo provvidenziale dovrebbero passare alcuni anni. In quest’opera di mitizzazione resta lontano dai sub-archetipi adatti alla temperie attuale, come Silvio Berlusconi il quale, giovaneggiando, si avvolge di una certa autorevolezza percorsa dal dinamismo dell’uomo del momento disposto, in caso di necessità, alla collaborazione, ringhiosa. Dall’altra parte soltanto un comprimario potrebbe respingere la proposta tra i maggiori partiti sostenendo, come Stefano Fassina, che la “grossa coalizione” non esiste in natura. In natura -è la replica più ovvia- non esistono neanche i partiti né la comica suddivisione destra e sinistra. Per Fassina, Emiliano e Bersani il tono del comunista, anche di quello post, deve essere sempre arrogante e sprezzante. Purtroppo, nella loro piccola frangia del Pd ad assumere questi atteggiamenti sono caricature di uomini di sinistra. A queste considerazioni ci porta il “voto amaro” della Sicilia, dove hanno prevalso gli astenuti.
Maurizio Liverani