NE’ GRILLO NE’ MARX

di MAURIZIO LIVERANI 

L’osservanza dei riti impone a tutti gli ex, non importa di quale partito, di parlare di restaurazione (o di rigurgito?) del fascismo come se sollevassero il coperchio sotto il quale, da anni, si accumulano molte perplessità. Le formazioni salite sulla nuvola governativa una patina di mussolinismo riescono a fatica a celare; nessuna vive, però, in maniera appassionata questa rivelazione. Impietose riflessioni troppo a lungo riproposte hanno costretto la marmaglia politica ad ammettere che l’inconcludenza dei partiti, accertato il fallimento dei loro programmi, dopo essere ricorsi a manovre e manovrine hanno aperto la loro tetra cocuzza a una verità: lavorando per i poteri forti, fatalmente, si incoraggia l’elettore ad “assolvere” Mussolini fino al punto di rimpiangerlo. La coalizione che è salita al potere è cosciente sino alla disperazione che è indispensabile traghettare per un lungo periodo le difficoltà del Paese con una “tirannia”. Ostinarsi a non riconoscere questa verità è un modo per dare nuova linfa a questo governo che propone un programma corposo, ma per ora circoscritto alla polemica con Claudio Baglioni per le sue asserzioni a favore dei migranti. Gli italiani sono così sensibili ai temi familiaristi che polemizzano con il governo fino a minacciare la crisi. Con questo spauracchio la triade al potere torna a essere un enigma; in virtù di questa impossibilità di decifrare la sua condotta, sono in molti ad attribuirle un intelletto rigonfio di idee. Sul conto di Salvini e Di Maio gli italiani tornano a essere incuriositi e, infatti, da qualche giorno i due sembrano timorosi e disposti alla conciliazione. C’è pur sempre Conte che scioglie le sue campane e fa intendere che siamo all’antivigilia di vederlo primo ministro assoluto. Per molti italiani questa apparizione ha un che di divino; può darsi che Conte sia un Talleyrand o un Walpole, cioè cessi di essere un capo di governo che si astiene lasciando tutti i poteri agli altri e abbia cambiato il suo piano di battaglia. Prima condizione affinché un politico “vada” è che incontri gli umori degli elettori. Da giorni gli organi d’informazione hanno puntato i loro favori su Conte. Desta meraviglia il cambiamento d’umore dell’elettorato verso Salvini destinato a primeggiare, ma che non riesce ad avvolgersi, come impone un fascismo, nel mito. Un mito non è oggetto di discussione; vive, non fa appello alla ragione bensì alla complicità. Salvini non sarà mai divinizzato; non lo sarebbe anche se fosse della razza dei grandi capi. Con la semplice Lega appariva come il vessillifero di una “certezza di cosa sperata”. Strati di delusioni si sono depositati anche sul M5s. La cattiva gestione di Roma capitale appare ormai un fallimento; le ultime esternazioni, comprese quelle urlate di Grillo, invece di assicurare un rinnovamento glorioso sembrano preludere verso una forma di infantilismo. Passando dalla fiducia assoluta alla più stolida diffidenza, le nuove leve al potere sembrano bravissime nel rafforzare il potere degli avversari.

 MAURIZIO LIVERANI